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Gli dei di Darraj – Osservazione comparata, di Laura MacLem

Ormai non ho molto tempo per leggere. Nonostante abbia praticamente smesso di usare Facebook, il lavoro e la vita da mamma sempre di corsa mi rendono difficile sedermi un poco e rilassarmi con un buon libro tra le mani. Diciamo però che capita di trovarsi qualche volta con una storia che fin dalle prime righe non ti vuole mollare. E che si fa? Si legge, punto e basta.

Avevo bisogno di immergermi in un romanzo come questo perché era davvero troppo tempo che non venivo trascinata in questo modo.

La trama vede come protagonista Kim, una “medica senza galassie”, nel senso che è una viaggiatrice interstellare di razza (suppongo) homo sapiens la quale compie missioni su vari pianeti portando nozioni mediche avanzatissime e di fatto tentando di migliorare le comunità che incontra. Una specie di Gino Strada versione rock, giovane e spaziale, per intenderci.

A causa di un incidente Kim finisce su un pianeta che non conosce, in una zona che dovrebbe essere disabitata ed invece viene a contatto con la fiorente civiltà del regno di Darraj, una sorta di commistione tra Egitto, Antica Grecia e -forse – qualcosa che ricorda l’Antica Persia.

Qui l’incontro/scontro con l’erede al trono di Darraj, Harago (sì, si chiama come il cattivo dei Cinque Samurai, no non è brutto e antipatico come lui, aaanzi…) determina per la ragazza l’inizio di un’esperienza nuova persino per lei, forgiata da decine di missioni. Kim assiste alla fine di un’era, ad un cambiamento epocale che suo malgrado la vede prima ispiratrice e poi perno degli accadimenti, in un modo che lei stessa non avrebbe mai pensato: scambiata per la misericordiosa dea Pashupati, soave incarnazione di quanto di buono c’è al mondo, finisce al centro di uno scontro di poteri che coinvolge uomini e dei, con una casta sacerdotale agguerrita e terribile, gli intrighi di palazzo per tenere in scacco i regni alleati (che poi così tanto alleati non sono), ma soprattutto la faticosa lotta di una intera civiltà per progredire ed il titanico sforzo di un eroe che vuole per davvero il bene della sua gente.

Il primo pregio che troverete in questo libro è una costruzione ambientale minuziosa e affascinante. Darraj vive e respira nelle parole di Laura e sembra di attraversarne le strade, assaggiarne i sapori, odorarne i profumi approfondendone la conoscenza pagina dopo pagina. L’impianto del romanzo, che ricordiamo essere fantascientifico, sfuma nel fantasy mitologico. La mitologia, su cui la storia prende piede e si eleva, è molto ben congegnata: nelle divinità di Pashupati e Melmoth risuona un’eco di Ade e Persefone (forse voluta?) che l’autrice è stata in grado di farmi amare immensamente in Regina di Fiori e Radici, ma discreto spazio hanno anche il Leone Dorato, volto guerriero della dea, e poi il dio dei mari ed il Re dei Cieli… e senza voler spoilerare troppo vi dico che tutti, in un modo o nell’altro, mostreranno uno dei propri volti.

Il terzo pregio è la caratterizzazione dei personaggi: Kim non è la fanciulla perfetta, la damigella da salvare, la svenevole di turno. È una ragazza moderna che ama gli altri, detesta la violenza e fa abbondante uso di turpiloquio. E deve lottare con la propria empatia, che la porta ad affezionarsi e le rende difficoltoso il distacco necessario per interrompere la missione…naturalmente non c’entra nulla un certo Harago, un figo che non se ne vedono da qui ad Aldebaran di sicuro, ma anche coraggioso, generoso, intelligente, sensibile senza volerlo apparire e insomma un QUANDO TE RICAPITA scritto a caratteri cubitali tra le stelle. C’è una postilla, in realtà, e cioè che il ragazzuolo è leggermente maledetto ed ha dovuto seppellire sette mogli perché sembra che Melmoth ce l’abbia con lui per non essere diventato una vittima sacrificale grazie all’affetto e alla lungimiranza del re padre, ma insomma, nessuno è perfetto…no?

Attorno a loro si muovono una quantità di comprimari tutti profondamente delineati, tra i quali spiccano Aktia, un ragazzino che Kim ha salvato appena arrivata a Darraj, dotato del dono di vedere gli spiriti, che sarà determinante per la lotta finale contro le forze di Melmoth, e poi Kengha, l’Uomo Leone, un altro viaggiatore stellare ed unica speranza per Kim di tornare a casa. Ma non si possono dimenticare i fratelli di Harago, il sacerdote di Pashupati ed infine la grande antagonista del principe, la sacerdotessa di Melmoth che sembra ordire la più terribile delle trame, anche se forse non sempre l’orrore si trova dove è facile volgere lo sguardo.

Il quarto pregio è – ma questa non è una novità – lo stile di Laura, che ne fa ai miei occhi una delle scrittrici di maggior talento che conosca. Riesce a infiocchettare una descrizione vivida e piena di poesia, poi ti sorprende con una punta di humor, poi ti avvolge con la grandiosità di una battaglia o l’epicita’ di un racconto mitologico e poi ti affascina con un momento di introspezione, ti fa conoscere uno ad uno i suoi personaggi al punto che quando il libro si conclude…ti mancano.

Il quinto pregio è che c’è la storia d’amore, ma non è solo una storia d’amore. In ballo c’è qualcosa di più grande, un valore immenso che poi è la cifra della evoluzione umana: la non violenza, in un certo senso.

Il sesto pregio è il finale, che naturalmente non vi svelo, ma che per me è stato altamente soddisfacente, il punto in cui fantascienza e fantasy si fondono e i richiami attraverso tutto il libro trovano un certo compimento e spiegazione…senza dire tutto.

Il settimo pregio è…la capretta. Ma se vorrete sapere di più su di lei e sul cosiddetto uomo che lancia le capre dovete affrettarvi a fare la cosa più sensata. Procuratevi questo libro e godetevelo, date retta a una zitella, un sogno ad occhi aperti così non capita di frequente.

L’illustrazione in copertina è di Serena M. Marenco

Il buio oltre la siepe, di Harper Lee

Dunque, dal giorno di Natale sono orgogliosa proprietaria di un e-book reader. Sì lo so, l’oggetto-libro è meraviglioso e il profumo della carta vabbe’ e il fruscio delle pagine mammasantissima, però se hai una casa grande quanto quella dei puffi e puoi leggere qualcosa solo ed esclusivamente dalle nove di sera in poi in una stanza buia e dopo aver recitato a memoria “Topo Tip fa la nanna”…credetemi è l’unica soluzione.

Come primo libro ho acquistato “Il buio oltre la siepe”, di Harper Lee, un classico che volevo leggere da moltissimo tempo.

Lo dico agli scostumati tipo me che rimandano sempre ed hanno questo testo tra ciò che leggeranno “prima o poi”: mettetelo in cima alla lista, vi state perdendo un capolavoro.

Siamo a Maycomb, in Alabama, negli anni Trenta. La piccola Jean Luise, detta Scout, e il fratello maggiore Jem sono orfani di madre, ma vivono con il padre Atticus Finch che fa l’avvocato ed è un uomo di grandissima rettitudine e sensibilità. I bambini crescono serenamente in un mondo fatto di giochi, baruffe, piccole lezioni di vita mentre osservano con divertito distacco il mondo adulto rappresentato dal vicinato, finché la tranquillità della cittadina non viene sconvolta dal fatto che Tom Robinson, un bracciante di colore, venga ingiustamente accusato di avere violentato una ragazza bianca. La questione razziale emerge allora prepotentemente nella narrazione: Atticus prende le difese del nero e ne paga lo scotto con la disapprovazione dell’intera comunità che vuole un capro espiatorio. La strada verso il giusto processo si fa dura e loro malgrado anche i bambini restano coinvolti nella vicenda, toccando con mano una dimensione fino ad allora sconosciuta: l’ingiustizia fine a se stessa.

Era tantissimo tempo che non leggevo un romanzo scritto in maniera così limpida. Ricordo praticamente tutto: i nomi, le descrizioni, le sensazioni. Eppure l’ho terminato da oltre una settimana. La scrittura di Harper Lee scorre che è un piacere e, senza mai apparire pedante, resta sotto la pelle del lettore perché nel descrivere una situazione esplicitamente è in grado di veicolare molte informazioni implicite, rendendo questa lettura multilivellare. La caratterizzazione dei personaggi è puntuale ed accattivante, la protagonista è una bimbetta vivace e brillante con il cui punto di vista è davvero piacevole identificarsi.

I temi trattati sono enormi: la giustizia, le distanze sociali, la non-violenza in un mondo che ti spinge nell’opposta direzione, con il Bene incarnato da Atticus Finch, un uomo incredibilmente mite all’apparenza, ma che al momento giusto sa tirare fuori un’arsenale di qualità inaspettate.

Insomma, so che molti/e di voi avranno già letto questo libro da tempo, ma, se così non fosse fate un favore a voi stessi/e e recuperatelo, potrebbe essere un faro capace di rischiarare questi tempi nostro malgrado troppo cupi.

Solo per sempre tua, di Louise O’Neill (Trad. di Anna Carbone)

Tra le innumerevoli stupidaggini che affollano gli scaffali dedicati alle ragazzine – con titoli più o meno tutti uguali -si mimetizza abilmente questo libro. La copertina vede una barbie in primo piano su fondo nero e, nonostante non sia molto diversa da altre che celano una storia alla Tuailait in cui l’imbecille di turno si innamora del bello&dannato&unpo’maniaco, si intuisce che qualcosa sta già stonando.

Ah, che bella voce fuori dal coro, Louise O’Neill.

La giornalista irlandese, qui al suo esordio come autrice, ci regala una distopia che potrebbe essere il seguito ideale de “Il Racconto dell’Ancella”, della celebratissima Margaret Atwood, di cui ho già parlato.

Il senso di fastidio per una lettrice è lo stesso.

Siamo in un’Europa del futuro, dopo una devastante Guerra Mondiale che ha ridotto gli stati in Zone, da cui le donne sono completamente sparite. Le femmine si chiamano Eva e sono prodotte in vitro, unicamente per la soddisfazione dei maschi ai quali verrà dato il potere di sceglierle come compagne, relegarle al ruolo di puttane oppure di caste, cioè una sorta di monache in grado soloamente di insegnare alle altre eva come compiacere gli uomini.

Le eva nascono in laboratorio e crescono fino ai sedici anni in una scuola, dove tutto ciò che viene loro insegnato è ad essere desiderabili, irreprensibili, accoglienti…insomma, ad essere delle bambole senz’anima. Ed è così che per la maggior parte del tempo si sente freida (il maiuscolo non è contemplato per le eva, perché non sono persone). Eppure freida un’anima ce l’ha e soffre, sia per i colpi bassi delle compagne, sia per la paura di non essere mai scelta e finire sotto terra dove ciò che aspetta le condannate è peggio della morte…e il dolore per l’allontanamento di isabel, la sua migliore amica.

Le eva sono già perfette per selezione genetica eppure vengono costantemente rese insicure dai messaggi che ricevono da tutte le direzioni: social media, insegnanti, televisioni.

Nella scuola freida non può fidarsi di nessuno: un chilo di troppo è un’immane tragedia, essere tra i primi posti nella classifica settimanale votata dagli eredi su una sorta di social network è l’unica possibilità di guadagnarsi un po’ di rispetto, ma è anche la porta che apre alle crudeltà delle altre allieve, che non conoscono altro che invidia ed infime strategie di mera sopravvivenza…solo isabel sembra immune da tutto questo. isabel, triste. isabel che ingrassa(orrore!).isabel che si tiene lontana dalle schermaglie e non fa caso ai pettegolezzi.

E quando sulla scena appaiono i ragazzi, freida si innamora e tutto diventa ancora più difficile.

Mascherato da libro da due soldi, per ragazzine sceme, “Solo per sempre tua” è forse uno dei libri che potrebbero avere un peso e far riflettere a lungo le adolescenti di oggi…ma anche quelle di ieri. Tutte le costrizioni sociali a cui noi donne siamo costantemente sottoposte sono qui portate all’estremo. Tutti gli stereotipi, tutte le “indicazioni per piacere”, tutte le convenzioni, sono il pane quotidiano di cui freida è costretta a nutrirsi, attraverso cui cerca di passare indenne, pur senza riuscirci.

freida appare piuttosto debole, come protagonista. Eppure alla fine del libro si ha simpatizzato tanto con lei che verrebbe voglia di scuoterla come si farebbe con un’ amica. Non so se sia stata una scelta dell’editore, quella di mescolare questo romanzo agli altri. Se fosse, sarebbe davvero una strategia furba per far leggere alle ragazze come sia assolutamente assurdo pensare che “se uno è figo può far di te quel che vuole”…ed il tutto con il sistema della psicologia inversa, quanto mai prezioso quando si parla di temi delicati come questi, in cui le ragazze tendono spesso a mettersi sulla difensiva. Io lo farei leggere nelle scuole, vi farei sopra qualche discussione ben costruita. Sarebbe un gran cosa se, da libri come questo, nascessero progetti educativi.  Sarebbe veramente una gran cosa.

Melody, di Sharon M. Draper (Trad. di Alessandro Peroni)

Come vi ho promesso qualche giorno fa, voglio parlarvi del penultimo libro che ho letto (l’ultimo è in corso di lettura, me lo sto divorando anche se mi fa star male, perciò aspettatevi che ve lo proponga prestissimo), un testo sull’importanza delle parole, sulla disabilità, sugli ostacoli che possono essere abbattuti con la volontà..e su molto altro.

Questo insieme di emozioni su carta si intitola “Melody”, che è anche il nome della protagonista.

Melody ha un’intelligenza geniale, una memoria infinita e un’incredibile sensibilità…ma tutto questo il mondo non lo sa, perché la ragazzina – di soli undici anni – è affetta da una malattia che la costringe sulla sedia a rotelle, con la capacità di muovere a malapena, e con ben poca coordinazione, le dita delle mani. Melody non può e non ha mai potuto parlare, anche se le parole le vengono a cascate e i pensieri fluttuano in ogni angolo della sua mente. Per questo, vive infelice,ridotta ad un vegetale nonostante gli sforzi della famiglia che la ama moltissimo.

Ma la svolta arriva dalla tecnologia: grazie ad un computer e ad un piccolo gruppo di persone meravigliose che la circondano – tra cui la vicina di casa e un’educatrice scolastica – alla bambina viene data finalmente la possibilità di esprimersi…e mi piacerebbe poter dire che da questo momento è tutto rose e fiori, ma non è così, perché la bambina dovrà fronteggiare ancora la diffidenza e la superficialità della gente.

Il più grande pregio di questo libro è che tratteggia una protagonista nell’interezza della sua persona e non solo dal punto di vista della disabilità. Pochi sono i filtri attraverso cui ci arrivano i pensieri di Melody, perciò non siamo davanti ad un’agiografia o ad una favoletta…ma ad una creatura “vera”, con enormi problemi di socializzazione e un’altissima frustrazione.

Melody è intelligente, capace di attrarre il lettore nel proprio mondo senza alcuno sforzo e senza retorica pietistica, che poteva rappresentare un rischio per la riuscita del racconto. Assistiamo solo ad una delle sue avventure: la partecipazione ad un quiz scolastico, ma poiché per lei persino mangiare da sola è difficile, questa narrazione ha i contorni di una impresa.

Sono molto belli anche i personaggi di contorno: la signora V in testa, direi, in qualità di energica vicina di casa che sprona Melody e la sostiene in ogni occasione perché è tra le poche che riesce a comprenderla. Interessanti le sfumature di comportamento dei compagni di classe della ragazzina, pria diffidenti, poi orgogliosi di lei, poi sorpresi che lei non corrisponda al loro pregiudizio, poi distanti…un’umanità vera e variegata che ci restituisce uno spaccato di vita molto credibile.

Non ultimo, come già vi avevo accennato, ho trovato molto profonda e condivisibile la riflessione sull’importanza della comunicazione verbale, sul perché ogni parola ha il suo incredibile peso nelle nostre menti e rifletta noi stessi nel mondo.

Consigliatissimo, nonostante l’argomento non sia leggero, visto che anche sotto l’ombrellone nulla ci vieta di pensare un po’.

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L’Infinito nel Palmo della Mano, di Gioconda Belli(trad. di Tiziana Gibilisco)

Non si smentisce, Gioconda Belli.

Già autrice de “La donna abitata” che resiste da anni al primo posto nella classifica dei miei libri preferiti, anche stavolta mi ha lasciata felice ed incantata e deliziosamente malinconica dopo la lettura di un suo romanzo.

Si tratta della rilettura del mito di Adamo ed Eva. Proprio così: la Genesi, la Caduta. L’inizio della storia dell’Umanità che tutti abbiamo imparato a conoscere nella Bibbia…ma ovviamente con alcune differenze. Per esempio, Elohim, questo Essere Superiore, vicino eppure lontanissimo, capriccioso e contraddittorio. Crudele, eppure paterno.

Adamo ed Eva sono le sue creature più amate. Diversi tra loro, eppure splendidamente uguali. Ma Eva è curiosa e geniale.

Il Serpente non fa fatica a tentarla con la promessa della conoscenza, ma per tutto il libro c’è la consapevolezza che la disobbedienza di Eva e la conseguente cacciata dall’Eden sia stata la semplice volontà di Elohim, che è curioso di vedere cosa combineranno gli esseri umani con il libero arbitrio.

Come mi aspettavo dalla Belli, Eva è il personaggio – cuore della storia. E’ attorno a lei che tutto si snoda e sono i suoi gli occhi attraverso cui leggiamo la realtà. Ma la parte più intensa è quella che riguarda Caino e Abele e le loro sorelle, Luluwa ed Aklia, con le quali essi avrebbero dovuto proseguire la specie… i figli e le figlie di Eva per la prima volta sperimentano l’amore, la gelosia, la passione e la ferocia…fino al climax che ben conosciamo e ad un ritorno all’innocenza primordiale che sfiora persino la scienza.

Scritto con la consueta poesia nella raffigurazione delle immagini, questo breve racconto si legge d’un fiato, eppure si evince la ricerca filologica che lo sorregge. Ve lo consiglio caldamente, perché è una meravigliosa panoramica sulla natura profonda di uomini e donne, sui rapporti che ci legano e le differenze che ci separano e ci rendono così incomprensibili gli uni per le altre e viceversa, ma anche un’esplorazione dei sentimenti primordiali, di ciò a cui prima o poi tutti finiamo per andare incontro in un modo o nell’altro.

 

Regina di Fiori e Radici, di Laura MacLem

Vi parlo di un libro che non è ancora ufficialmente uscito, che potete trovare su Amazon al momento, ma che sarà disponibile solo tra qualche giorno. Ve ne parlo adesso perché è una delle cose che ha “salvato” la mia estate, perché ho paura di dimenticare qualcosa se aspetto troppo e perché dopo giorni che l’ho finito ne conservo ancora il ricordo vivo, la nostalgia dei personaggi e la sete di loro nuove avventure.

Eppure…eppure si tratta di una rilettura. Per di più, della rilettura di un mito e – voi direte – potremmo anche averne abbastanza. Invece no.

“Regina di Fiori e Radici” ripercorre la leggenda di Ade e Persefone, dal punto di vista fino ad oggi inesplorato della fanciulla. E già: le leggende ci hanno tramandato della passione che indusse il Signore degli Inferi a rapire la bella dea della primavera e dell’ira funesta della madre di lei, Demetra, che per rappresaglia, o per il troppo dolore, tolse le messi agli uomini…a nessuno era mai venuto in mente di indagare che cosa ne pensasse lei, la giovane spostata come un pacco da un regno all’altro.

Laura se lo è domandato e la sua risposta è prima di tutto un romanzo di formazione, una storia d’amore in cui finalmente il bel tenebroso NON si innamora della scema di turno e, ebbene sì, un inno alla femminilità ( e al femminismo).

I personaggi sono tratteggiati con puntualità e precisione. Mi capita raramente di riuscire ad identificarmi nella protagonista di una storia d’amore, non so perché. Forse perché mi sembrano tutte una fila di ebeti in attesa di essere travolte. Persefone no. Persefone è quasi una bimba all’inizio della storia, perché è una persona buona. La sua ingenuità,spesso derisa da chi la vede accontentarsi solo dei suoi fiori, è solo apparente: Persefone cela un lato molto più profondo, che si scopre a poco a poco. Il suo amore per le radici non è che una metafora, ma molto azzeccata di ciò che in effetti sottende alla sua personalità. Persefone non è una lagna. Non è una vittima. Ed è davvero appassionante vederla affrontare le situazioni di pericolo, innamorarsi di quello “zio” tanto cupo quanto saggio, tanto affascinante quanto sensuale, vederla crescere e prendere coscienza di sé.

Persefone ha suscitato in me un senso di tenerezza ed identificazione come non mi succedeva da tempo.

Ade è il figo della situazione ed è ben lontano da  quei bellocci pieni di sé a cui tanta letteratura fantastupida ci sta abituando. Lo immagini bello, ma in modo sinistro. Saggio al punto da essere preoccupante. Orgoglioso, ma non troppo paternalista. E, soprattutto, innamoratissimo. Ade è l’unico che vede Persefone da subito per ciò che è: una vera regina. E non è forse questo il segreto dell’amore?

Belli e intensi sono anche i personaggi di contorno, alcuni più conosciuti, altri frutto di un meticoloso lavoro di studio del mito in molte sue versioni, che si intuisce possa sostenere un’opera come questa. Le descrizioni sono coinvolgenti e le sensazioni durante la lettura si alternano come colori di un arcobaleno.

Chi dovesse storcere il naso solo perché è un’autopubblicazione commette un grave errore: nel mare magnum della rete, questo testo emerge come una perla, riuscendo ad essere originale pur nella storia risaputa, vibrante nel tono, ricco di sfumature. Un punto a favore è, infatti, lo stile: lieve, ma con pennellate di poesia che sembrano inconsapevoli e per questo non ingombranti. L’insieme è un testo armonioso e avvincente, che vi straconsiglio.

E sì, mi è piaciuto un mondo, non so se si nota. 😛 Preferisco essere sincera e rendermi un po’ ridicola con il fangirling, piuttosto che mantenere un distacco che non sento, per la facciata di “critica letteraria”.

Spero in un seguito, anche se non so se sarà possibile. Per adesso, mi basterebbe anche la versione cartacea da regalarMi (e regalare) a Natale.

Del perché gli Harmony sono meglio delle 50 sfumature.

E’ recente l’uscita dell’ennesima porcat…del nuovo volume ad opera della E.L. James in cui – pensate un po’ – proprio come la Meyer per Midnight Sun la nostra ha pensato bene di tirar su qualche altro soldino proponendoci la stessa trama condita, stavolta, dai pensieri di Lui. Ho ricevuto anche la proposta di leggerlo aggratisse, ma ho rifiutato: mi sono bastate le prime dieci pagine per vedere che niente era migliorato, anzi: stile sempre terrificante, su storia già letta, più deliri di giovanotto incredibilmente antipatico.

Al che mi sono ritrovata a pensare “A ridatece gli Harmony” e mi sono ricordata di un vecchio articolo che avevo scritto per Liblog che in qualche verso potrebbe essere ancora attuale, perciò ve lo propongo:

“Alzi la mano chi di voi fanciulle non hai mai ceduto alla tentazione di dare un’occhiata ad un libro Harmony. Sì, proprio loro: i famigerati libri rosa della Harlequin-Mondadori che si avvalgono di titoli dal profondo significato sociopolitico del tipo Agli ordini dello sceicco, La moglie del miliardario o – meraviglia delle meraviglie – Incanto italiano/greco/spagnolo (che non è la presentazione di un dizionario, ma l’indicazione di uno scenario esotico per l’autrice, presunta casalinga del Kentucky).

Chi è senza peccato scagli la prima pietra: io proprio non posso, i libri Harmony entrano senza vergogna in casa mia grazie alla buona volontà di mia madre, che li acquista fin da quando riesco a ricordare. Mi sono chiesta spessissimo quali siano i fattori che tengono a galla questo fenomeno dato che, diciamocelo, gli italiani non hanno fama di essere dei “lettori forti” e non stiamo parlando certo di alta letteratura. Eppure il mercato degli Harmony non dà cenni di stanchezza e io non ho ancora trovato una risposta alla mia domanda.
Andiamo ad analizzare i fattori principali, partendo dai personaggi chiave e dalla trama.

Lui si chiama Ross (o Brett o, nel malaugurato caso che sia italiano, Dante Vincenzi). Di solito è cresciuto in orfanotrofio, ma, grazie alle sue spiccate doti di intelligenza, a soli trent’anni si trova a capo di un impero economico. Non è finita: il nostro si porta a spasso un corpo statuario, un viso da favola e una quintalata di carisma che rovescia su qualsiasi donna che gli capiti a tiro. C’è poi il particolare fantascientifico, ovvero: nonostante tutte le donne gli cadano ai piedi, Dante (chiamiamolo Dante per simpatia) non ne sfiora una con un dito. È un gentiluomo, lui.

La sua galanteria va in frantumi quando incontra Lei (Elizabeth, Allison o – ahimè – Mirella detta Ella nei casi più disperati), che è di norma una timida maestra d’asilo, oppure la figlia di qualche rivale in affari e che, caso strano, è una bonazza da paura.

Nonostante la bellezza, la dolcezza e quant’altro Iddio le ha dato, Ella fino a quel momento non è riuscita ad incastrar…ad incontrare nessuno degno di lei e perciò, giunta alla veneranda età di ventiquattro anni (dopodiché, lo sappiamo tutte, sei una zitella senza speranze) ha deciso intimamente di Farla Finita Con Gli Uomini.

I due protagonisti si incontrano per una circostanza fortuita, che nella maggior parte dei casi corrisponde con una compravendita immobiliare: lui vuole sfrattare lei dalla proprietà di famiglia, oppure lei ha ereditato un terreno che lui vuole comprare a tutti i costi. Al primo sguardo i sentimenti di entrambi sono contrastanti: si odiano ma vorrebbero comunque saltarsi addosso, complice il fatto che ogni volta che si sfiorano una Scossa Elettrica li pervade lasciandoli quantomeno perplessi.

Da qui in poi le varie scrittrici escogitano mezzi al limite del ridicolo per far sì che i protagonisti siano costretti a convivere per qualche giorno: si va dai contratti-capestro secondo cui lei dovrà accompagnare lui in società per evitare che lui le rovini economicamente la famiglia, alle ultime volontà testamentarie di un nonno, fino alle catastrofi naturali come le frequenti valanghe che bloccano i nostri in una baita a Big Bear. Durante la vicinanza forzata i due cedono all’attrazione reciproca e si ha la “scena erotica”.

Mamme, se mi state leggendo, evitate accuratamente che la vostra figlioletta adolescente si riempia gli occhi delle scene di sesso contenute negli Harmony, oppure spiegate loro che quando si fa l’amore, nel mondo reale, di solito nessun vulcano esplode sotto il letto! Io ho impiegato anni ed anni per affrancarmi da queste idee malsane e se la mia esperienza può servire sono lieta di metterla a disposizione.

Ma torniamo a noi, o meglio a Dante ed Ella, che dopo aver sperimentato qualche giorno di passione sfrenata, generalmente litigano per una stupidaggine e si separano a prezzo di una segreta e immane sofferenza. Di solito è lei che lo lascia, perché ha capito di amarlo ma è sicura che lui stia con lei soltanto per il sesso (sapete com’è, se per una settimana non si è fatto altro il dubbio è legittimo). Passa un mese e Dante si presenta con il brillotto e una dichiarazione zuccherosa che di solito ci viene fatta sudare fino all’ultima pagina, insieme alla promessa (non necessaria) di quanto la vita da quel momento sarà perfetta per entrambi.

Eccoci qua. Trovatemi un Harmony che si discosti da questi cliché e sono disposta a pagarvi una pizza. E tuttavia, quando ne trovo uno per casa, l’occhio ci cade quasi sempre. Ammetto che potrei essere io ad essere affetta da gravi disturbi di personalità, ma se provo a pensarci mettendo da parte gli scherzi credo che un libro del genere possa piacere non tanto per la sua forma, ma per le sensazioni rassicuranti che evoca. Sappiamo fin dall’inizio che tutto andrà per il meglio, ed è un po’ come se continuassimo a raccontarci la fiaba di Cenerentola all’infinito (alla faccia delle femministe per cui la felicità e la realizzazione non sono certo frutto del matrimonio).

Favole moderne, ecco come si possono definire gli Harmony: ripetitive, scritte in modo discutibile (“Non ci credo!” esclamò Shelby, scuotendo la testa incredula), ma prive di qualsiasi “obbligo di pensiero coerente” per le lettrici e capaci, comunque, di creare una simpatica distrazione. Dai, siate sincere: quando il tempo è grigio, il lavoro faticoso e la noia ci assale, che male c’è a passare qualche decina di minuti sognando che Dante bussi alla nostra porta? Con buona pace della Divina Commedia.”

Ora, voi vi chiederete perché, se sono così blanda con gli Harmony, io non riesca ad essere un po’ elastica anche con la quadrilogia della James. E’ presto detto: gli Harmony non pretendono di essere ciò che non sono. Non di pubblicano articoli spacciandoli per la nuova frontiera dell’erotismo, né si fanno prendere a modello come alcunché. Si sa che sono scritti ad minchiam, al punto che spesso sembra che si prendano in giro da soli. Le autrici (spesso italianissime!) sono simpatiche, non pretendono di essere la Donna che Ha Rivoluzionato la Letteratura. E soprattutto, sembrerà strano, ma gli Harmony intrattengono 10 volte meglio di quanto non riesca a fare la quadrilogia. Pur se scritti male, pur con trame trite e ritrite, pur con personaggi stereotipati al massimo. Se fossi nella James, qualche domanda me la farei, ma quando una è impegnata a contare i propri milioni, probabilmente, non ne ha il tempo.

La misura della felicità, di Gabrielle Zevin (trad. di Mara Dompé)

Maledetta Gabrielle Zevin. No, davvero, maledettissima.

Vedo il suo libro sullo scaffale, leggo la chiosa del Washington post che mi parla di un “concentrato” di ottimismo…e perciò parto lancia in resta nella lettura di quello che, sulle prime, è un romanzo di scrittura delicata, solare. Al centro un libraio rimasto recentemente vedovo e perciò ferito e scontroso con tutti.

La sua vita sembra destinata a consumarsi lentamente tra alcool e libri polverosi finché una sera subisce il furto di un libro raro e, poco dopo, una bambina viene abbandonata nella sua libreria.

E’ l’inizio di una nuova vita, in cui A.J., questo il nome del protagonista, si apre lentamente al mondo grazie anche all’amore per Amelia, che lavora in una casa editrice e va a trovarlo sempre più spesso.

E fin qui, ci siamo.

Quello che nessuna fascetta potrà mai rendere certo, però, è come questo sia uno di quei libri che vi farà piangere e ridere e poi di nuovo piangere. A questo servo io. A dirvi che, se non lo leggerete, vi sarete persi un raro esempio di quelle storie con personaggi che da estranei ti diventano cari come amici.  E fai il tifo per loro. Gioisci con loro. Soffri, soprattutto, soffri per loro.

La parte finale, io ve lo dico, vi ammazza. Io mi sono ritrovata a frignare in mezzo alla strada, perché ho avuto la (bella?) idea di leggermene qualche paginetta mentre aspettavo che mi venissero a prendere.

Che figura.

Ma non è colpa mia se sono sensibile e se la scrittura di Gabrielle Zevin ti entra sotto pelle (fatemi usare questa espressione un po’ trita, suvvia, non vedevo l’ora!) con una leggerezza che non ti fa sospettare quanto sarà difficile staccartene “dopo”.

Non è colpa mia se A.J., Amelia, la piccola Maya dopo poche pagine ti fanno entrare nella loro famiglia, e ti contagiano con la loro comune passione per la letteratura.

La misura della felicità è un inno a tutto ciò che c’è di bello e importante nel mondo: l’amore, il rispetto, la gioia…e le storie, oh sì.

E infatti non mi sono stupita affatto quando, nei ringraziamenti, ho trovato un riferimento a Neil Gaiman…

Sono passati due giorni da quando ho chiuso il libro ed ancora sto  continuando a pensarci. Con tutte le cose che ho da fare.

Maledetta, maledettissima Gabrielle!!!

Eleanor & Park – Per una volta nella vita, di Rainbow Rowell (trad. di F. Merani)

Siccome sono una discepola devota, quando qualche giorno fa la signora Di Rienzo ha indicato questo libro tra le scelte per un regalo ad un’adolescente, mi sono incuriosita e sono corsa a cercarlo. Anche se adolescente non lo sono più da un pezzo.

Me lo sono letta poco per volta, la sera, per tutta la settimana, gustandomelo enormemente. Era tanto che non mi sembrava di avere un appuntamento fisso così imprescindibile con la lettura.

E, voi vi chiederete, cos’avrà di tanto eccezionale?

Primo: l’ha consigliato Maria. E sapevo che mi sarebbe piaciuto. Io non ho mai visto questa donna, ma il suo essere (e soprattutto il suo scrivere) mi toccano corde che risuonano in armonia. Una delle cose belle di internet.

Secondo: il libro è una storia d’amore che, seppur destinata agli adolescenti, non riuscirei a definire leggera. E’ un amore incredibilmente coinvolgente.

Terzo: è scritto BENE. Cosa non scontata, ai tempi delle 50 sfumature di schifezza.

Ma veniamo a bomba:

ATTENZIONE SPOILERSSSSSSSSS!!! (Ma non tanti, solo un po’)

Eleanor è una ragazza piena di problemi: vive con la madre, i  fratellini e il patrigno in una casa minuscola in cui è potuta tornare da poco, dopo essere stata cacciata. Tra lei e Richard, l’uomo violento che ha sposato sua madre e le fa subire ogni sorta di umiliazione – sia fisica che psicologica – non corre affatto buon sangue. La paura, la diffidenza, l’insoddisfazione, sono il pane quotidiano di questa sedicenne che per di più deve lottare con il sovrappeso, una cascata di riccioli rossi e un modo di vestire per niente convenzionale (o femminile, se preferite).

Per Park le cose sono diverse: per metà coreano, deve fare i conti con lineamenti asiatici e fisico piuttosto esile,  ma la sua famiglia lo sostiene e lo incoraggia. E’ educato, colto, carino, molto timido – o forse chiuso in sé stesso come molti ragazzi. Il suo problema è non essere considerato sufficientemente virile dal padre – ex marine – che lo tormenta di continuo battendo su questo tasto.

E’ il 1986. Non esistono telefonini e non esiste internet. Per incontrarsi, per parlarsi, ci voleva molto più coraggio. Eleanor e Park si incontrano sull’autobus che li porta a scuola. Si misurano. Si avvicinano quasi per caso.

L’intesa nasce grazie al comune interesse per i fumetti. Per la musica che salva Eleanor dalle urla rabbiose che la aspettano a casa. Dai singhiozzi materni che deve ignorare, dai lamenti dei fratellini che assistono impotenti alle violenze che si consumano tra le quattro mura.

L’amore nasce, prezioso e fragile, nonostante le prese in giro dei bulli e l’indifferenza degli adulti. Le mani si intrecciano, perché quelli erano tempi in cui il sesso era ancora qualcosa di cui si faceva fatica a parlare e solo sfiorarsi il collo faceva vedere le stelle e tutti i pianeti.

Eleanor e Park. Park e Eleanor. Diversi da tutti, unici. Non convenzionali e mai uniformati. Eppure, non forzati nemmeno nel distinguersi.

Amano nell’altro/a ciò che li tiene ai margini e questo è il bello. Insegnano l’uno all’altra che i rapporti più veri sono quelli pieni di difetti, irrazionali, ma allo stesso tempo terribilmente ragionati.

Ci si mette tutto l’ambiente attorno, a cercare di dividerli. Con cattiveria. Se volete sapere se l’amore vince su tutto, non vi resta che prendere il libro.

Alternando i punti di vista di lui e lei, l’autrice ci regala un racconto uniforme, profondo e coinvolgente. Uno spaccato di vite imperfette, difficili, ma proprio per questo tremendamente interessanti.

Le descrizioni dei sentimenti sono minuziose, ma non si scivola mai nel melenso. I due protagonisti sono adorabili.

Che dire di più? Leggetelo e fatelo leggere. E’ un libro in cui trovare tanti spunti di riflessione anche se siete adulti e vi può ricordare come era, quando sedici anni li avevate voi. Fatevi tornare il batticuore.

 

 

Storia di una ladra di libri, di Markus Zusak (trad. di M.G. Giughese)

Inserito il

ATTENZIONE! QUESTA RECENSIONE CONTIENE SPOILER!!!

Questa probabilmente è una della serie “recensioni inutili, dato che tutti hanno già letto il libro”, ma ci tengo lo stesso a dare il mio positivo parere su “Storia di una ladra di libri“, perché bisogna dare a Cesare quel che  è di Cesare e a Markuz Zusak ciò che è di Markus Zusak.

La cosa che mi ha colpita maggiormente  sono gli espedienti narrativi: tanto per cominciare la voce che racconta la storia è del tutto inaspettata. E’ la Morte, descritta però come tutt’altro che mostro insensibile. Una figura terza, ma non estranea. Per certi versi, materna.

La Morte ci parla di come poche persone riescano a colpirla per davvero è una di queste è Liesel Meminger, figlia di una comunista che ha dovuto lasciare la Germania Nazista e dare perciò la sua creatura in adozione. La bambina giunge così ad Himmelstrasse, nella casa degli Hubermann. Il padre, Hans, è un uomo d’animo gentile che conquista subito la ragazzina. La moglie, Rosa, è un donnone burbero e sboccato, ma anche lei mostrerà un cuore d’oro e un sincero affetto per la bambina. Liesel ha però un segreto: fin dal giorno della morte del fratellino più piccolo non può fare a meno di essere attratta dai libri. Al punto da rubarli. E quando ,con molta fatica, impara a leggere, la febbre sale ancora. I libri, le parole, sono l’unico appiglio per affrontare tutto il dolore che l’attende: il nazismo e la guerra, tanto per cominciare. La paura dei bombardamenti, quella per Max – (giovane ebreo nascosto in cantina ), le perdite che giorno per giorno costelleranno la sua vita, la fame.

Ma la Morte osserva tutto e sa che la Ladra di Libri è più forte.

La Morte anticipa e riassume alcuni fatti. Pennella situazioni. Dà ritmo al testo, un ritmo narrativo inusuale nei racconti che hanno come sottofondo la guerra e l’Olocausto.

Il libro non cede mai al pietismo, non scade nella banalità e neppure nel politicamente corretto a tutti i costi. Però il dolore si fa vivo e reale, quando c’è…come anche i momenti di felicità. Rari, ma assoluti.

E come le cose belle, come i capelli biondi di Rudy Steiner, il ragazzo della porta accanto, compagno di furti di Liesel e poi suo primo amore, anche se i due non condivideranno mai altro che un bacio, quando già le labbra del ragazzo saranno esangui.

Questo è un libro che lascia il segno e ce ne accorgiamo perché i suoi personaggi continuano a parlare DOPO la chiusura del testo, quando già tutte le lacrime che dovevano cadere sono scese. Non so se è per averlo terminato che stanotte non ho dormito bene. So che mi ha lasciato qualcosa dentro. Una lettura che merita tutta la vostra attenzione per caratterizzazioni, descrizioni e profondità.