Cose che odio e cose che amo (Quarantena version)

Dunque, riflettevo sul fatto che trovandomi a sopravvivere durante questa quarantena sguazzando nella fascia discretamente fortunata della popolazione, posso permettermi di pontificare ad cazzum e perciò ho deciso di scrivere uno di quegli elenchi top five di cui di norma non frega niente a nessuno quando va bene e fanno incazzare un sacco di gente se vengono presi in maniera sbagliata. E va be’ corriamo il rischio.

CINQUE COSE CHE ODIO DI QUESTA QUARANTENA:

1. Non vedere la mia famiglia. Siamo tutti tappati in casa da due mesi. Non ho ancora ben capito dove è il rischio se mi metto in macchina e li vado a trovare. A meno che il virus non stia in agguato appena fuori dal portone per saltare addosso agli ignari. Cosa che non accade.

2. La politicizzazione della pandemia. Laddove, invece di essere tutti uniti verso il comune scopo di migliorare la drammatica situazione, assistiamo ai soliti teatrini/campagna elettorale in cui si scaricano barili e ci si liscia le piume sulla pelle della gente. Che schifezza.

3. I virologi che dicono un giorno una cosa e quello dopo un’altra, in combo con i tuttologi da wikipedia che sentono il bisogno di diffondere notizie non verificate tipo che il virus ha un gonnellino e balla la hula. A tutto ciò si aggiunge un panorama d’informazione da terzo mondo in cui contano gli scoop (solitamente fasulli) e il clickbaiting e che non fa che generare confusione. Risultato: è sempre più difficile selezionare le fonti.

4. Quelli/e che la menano ai genitori disperati e/o in difficoltà perché devono tornare al lavoro in corrispondenza con le scuole di ogni ordine e grado ermeticamente chiuse. Quelli il cui slogan è che la scuola non è un parcheggio. Andate a cagare, di cuore. Avere a cuore l’istruzione dei bambini, la paura di non poterli seguire adeguatamente (perché siamo genitori e non insegnanti) ed anche il fatto pratico che se devo lasciare il figliolo per lavorare è un vero casino (non è facile trovare una baby sitter, c’è comunque il rischio e…avete presente che pagare una persona due ore al giorno oppure dieci ha un peso economico molto diverso vero?) E tutto quello che sapete dire è che la scuola non è un parcheggio? Graziearca’. Ma siete i primi a svilirla, la beneamata scuola, attribuendo a noi questa minchiata.

5. Quelli che per sembrare più intelligenti ti dicono che andrà tutto male, gli spargitori di veleni e sospetti, coloro che non sono in grado di vedere neppure un lumicino fuori da questo tunnel e devono provare a trascinare nel loro buio anche te…per di più solitamente su basi nulle, fake news o distorsioni dei fatti. Che non è e non sarà una passeggiata lo sappiamo, ok, grazie. Mobbbasta però eh. C’è anche una vaga, vaaaga possibilità che si trovi una cura, che le cose migliorino, chi lo sa?

CINQUE COSE CHE AMO DI QUESTA QUARANTENA

1. Il posto di lavoro a 50 cm dal letto. Forse l’avevo già annoverato tra i motivi di giuoia, ma OSANNAH! Un sacco di sbattimento in meno la mattina e col fatto che l’Erede è a casa è l’unica soluzione decente (e comunque non facile).

2. Loro Due con me tutto il tempo. Non so quando ci ricapiterà. Me la godo a più non posso.

3. La confezione da 3 kg di Nutella in cui sto per tuffarmi.

4. Il fatto di avere persino il tempo di leggere e fare tai chi. Anche questo, chissà quando ricapiterà.

5. Le lunghe telefonate con le persone a cui tengo. Non staremo distanti per sempre, ma è in frangenti come questi che si vede chi ci tiene e chi, invece, può fare a meno di te.

BONUS: La speranza che vada tutto meglio di quanto tutti dicono per poter fare gne gne gne ai Torvi Cinici.

Gne gne gne.

Questa immagine non c’entra molto con l’articolo ma mi fa ridere.

Cronache da una casa come tante.

Chissà come entreranno questo periodo e i mesi a seguire nei libri di storia. È una domanda che mi faccio spesso, che di tempo per pensare per il momento ce n’è abbastanza.

Da dieci giorni, sono una smartworker, ma il mio lavoro furbo è durato circa 3 giorni perché poi la Gente Importante ha decretato la chiusura delle attività non essenziali ed il settore del lusso vi rientra (e vorrei un po’ vedere). E già i nostri superiori ci hanno anticipato che, una volta esaurite le ferie, si passerà alla Cassa Integrazione.

Per me non è una novità, se ricordate bene. Al che non posso fare a meno di chiedermi se il sito in cui lavoro ha su di sé qualche maledizione indiana perché altrimenti non mi spiego. Detto ciò, c’è chi sta molto peggio e direi che non è il caso di esprimere altro se non una cauta preoccupazione.

La cosa più brutta – per chi sa come mettere il pane sulla tavola – è questo enorme punto interrogativo a cui risulta impossibile dare una risposta. Cosa succederà? Cosa è meglio fare?

Impossibile non pensare a chi rimane senza stipendio, senza sostegno (o con un sostegno risibile), con famiglie a carico, con il futuro più incerto che mai. C’è chi prevede un futuro di violenze e sopraffazioni ed io vorrei cancellare queste voci dalla mia testa, ma sono purtroppo costretta ad ammettere che potrebbe essere così visto come ha sempre funzionato finora. Poi però il mio lato positivo ed ottimista non riesce a non mettere il naso fuori ( e vi assicuro che è un naso molto importante).

Non posso fare a meno di benedire le mie fortune. Tanto per cominciare, sto affrontando questa quarantena con Lui e Nostro Figlio. Certo, a volte ci sono dei battibecchi e delle stanchezze, ma non so se mi ricapiterà di averli tutti per me ed essere io tutta per loro. Riccardo, grazie al cielo, è sufficientemente piccolo per non soffrire troppo la clausura, finché può giocare con mamma e papà.

Lui ha organizzato spesa, cibo e bevande in modo da uscire per davvero il meno possibile e questo in qualche modo mi rasserena.

Non sono tra quelle persone che sa tutto, perciò non ho da recriminare su quello che il Governo dovrebbe o non dovrebbe fare. Penso davvero che, data la situazione, abbiano fatto di tutto per mantenere un qualche equilibrio tra trasmissione dei contagi, economia, ordine pubblico, tentativi di sostenere le fasce deboli. La coperta è corta, ma si cerca di farla bastare e forse questo può dipendere da ognuno di noi.

Sta emergendo con prepotenza un senso di quanto la vita “di prima” fosse in molti modi sbagliata. In pochi giorni l’inquinamento nelle zone di lockdown si è sensibilmente ridotto, l’ONU ha chiesto il cessate il fuoco in tutte le zone di guerra, gli animali si mostrano nelle città e sulle coste, sono crollati i crimini di strada…potrei proseguire per molti minuti. Abbiamo persino ridimensionato le figure dei calciatori strapagati, per rivalutare quelli che fino a ieri erano gli ultimi della fila: medici, ricercatori, infermieri, insegnanti, commessi, autotrasportatori, personale delle pulizie…tutti coloro che VERAMENTE reggono la baracca. Santo Cielo, mi sembra di scrivere il riassunto di un romanzo distopico ed invece è tutto vero. Ci riscopriamo umani e fragili e forse questa sarà una dura lezione…ma già sappiamo che sarebbe folle tornare a essere esattamente come prima.

Forse risulterà chiaro che si devono trovare soluzioni alternative, darci limiti e cercare nuove strade che possano essere percorribili da tutti salvaguardando quanto di bello abbiamo ancora. Credo che solo una cosa possa salvarci in tutti i sensi: la solidarietà. Penso che sarebbe opportuno organizzarci fin da ora per AIUTARE chi non ha quanto noi, per TENERE UN OCCHIO SUI NOSTRI VICINI, per DARE UNA MANO. C’è chi lo sta già facendo. Se avete idee per essere d’aiuto, le ascolterei volentieri.

Non dimentichiamo che, come ha detto il buon Alberto Angela, gli italiani si stanno già aiutando tra loro, moltissimo. Rimanendo in casa, aiutiamo a salvare vite. Ma forse si può fare di più.

Vi voglio bene.

Tazzina di caffè virtuale che ci scambiamo con le amiche. D’altronde siamo Quarantenni da Buongiornissimo!

Andrà tutto bene.

Lo so che siete impauriti e sfiduciati, è normale. Tante cose che abbiamo sempre dato per scontate non lo sono più e questo è successo in un lasso di tempo talmente breve da lasciare spettinati.
Da ieri sera tutto lo Stivale è zona arancione. Arancione, non rossa. Significa che, seppur limitati, sono consentiti gli spostamenti per necessità (quindi assaltare i supermarket è stupido oltre che inutile). I controlli ci sono, per lo meno così sembra. E così anche l’italiano medio comincia a capire. È partita la campagna #iostoacasa che scoraggia le uscite superflue. Sono partite le raccolte fondi per rinforzare in tutta Italia le terapie intensive e gli italiani stanno rispondendo con grande generosità (cavoli, i Ferragnez hanno raccolto quasi 3 milioni di euro in poco più di un giorno! Che potenza!!!). Il governo sta facendo del proprio meglio e si vede, data la situazione. Comunque la si pensi politicamente, credo sarebbe difficile fare meglio, considerando che ci troviamo ad una situazione pericolosa e del tutto nuova.
Certo, l’economia ne risente. Ma in che modi…lo sapremo solo tra un po’. Io credo davvero che ci riprenderemo in tutti i sensi. Il fatto che molte persone, tutte insieme, stiano iniziando e mantenendo un percorso di responsabilità mi fa ben sperare.
Cosa può fare il singolo? Io vado a lavorare e poi torno a casa dal mio bimbo, che passa le giornate con la nonna benedetta. Unica uscita: spesa.
Ho pensato che visto che ci sono potrei farla anche per qualche persona bisognosa in paese, oltre che per i miei genitori, perciò ho dato il mio contatto al presidente del circolo ARCI e vediamo se potrò dare una mano.
Ho donato una piccola somma per l’ospedale della mia provincia. Non molto, ma quello che posso in questo momento.
Che sto in casa il più possibile l’ho già detto?
Nei prossimi articoli forse vi delucidero’ in merito ai modi per passare la quarantena in famiglia, quando hai la manualità di un bradipo in coma e ogni volta che vedi i video fighi delle mamme superbrave che intrattengono i pargoli facendo loro scolpire la Pietà di Michelangelo in pasta di sale ti assale il Senso di Inadeguatezza. Vi segnalerò anche libri e serie, se me ne capitano di decenti. Nel frattempo su con la vita: andrà tutto bene.

Aho’, 2020! Cosa ci eravamo detti?

Inserito il

Non ho intenzione di aspettare dicembre a prendere per le orecchie quest’anno, i cui primi due mesi hanno mantenuto il tradizionale “anno bisesto anno funesto”. Aho’, 2020 vieni un po’ qua che facciamo due chiacchiere.

Non sei partito granché bene.

Prima, ci hai portati sull’orlo di una Guerra Mondiale, poi sto benedetto Virus, di cui ancora non si sa bene che pensare, poi rinfocoli i conflitti già in essere, rendendo ancora più aspre situazioni come quella dei profughi Siriani, bimbi compresi.

Senti bello, già sei messo male. Rischi di essere bocciato. Eppure, non deve essere il tuo destino. Vedi di ripigliarti, eh, che di cattiverie e sfighe immonde non se ne può più.

Noi persone -diciamo – non ancora convertite in lupi mannari siamo un po’ stufe della guerra tra poveri. Siamo stufe di poterci indignare solo via social, mentre qui vicino i nostri fratelli muoiono. I bambini che potrebbero essere i nostri muoiono di freddo o cercano il suicidio. Persone, che non siamo noi solo per un gioco del destino, vengono torturate per il reato di aver sperato in una vita migliore. Intanto vediamo politici confusi nel migliore dei casi, cinici ed incapaci in altri, che badano a non perdere consensi anche se si tratta di accontentare la versione peggiore del popolo insoddisfatto, quella che ancora ha tutto ma invidia sempre chi ha di più e schifa chi ha di meno.

Siamo diventati così in un momento preciso, o è stata una cottura lenta? Quando le care nonnine non battono ciglio davanti ai bambini assiderati, dicci, cosa ci salverà? Un dio sbandierato alla bisogna e poi dimenticato quando non fa comodo?

Allora, 2020, è ora di cambiare strada. Di pensare a ripristinare quello che ci rende sapiens, che non è, come molti credono, il raffinare sempre più la capacità di farci del male a vicenda. Al contrario.

Questo post non avrà immagini. Non ho il cuore per mettere qui altra sofferenza. Io voglio continuare a sperare che un mondo migliore sia possibile. Di più: un mondo migliore è necessario. Siamo al collasso di questo sistema plutocratico ed iniquo. Forse non sarà indolore ma non è possibile non cambiare.

Etciu’.

Mai nella vita avrei pensato che questo piccolo suono facesse tremare qualcuno accanto a me. Stiamo vivendo giorni stranissimi e sono certa che tutti ci domandiamo un sacco di cose.

Quanto durerà, tanto per cominciare. Se lo chiedono gli abitanti di Codogno costretti alla quarantena, se lo chiedono i genitori che devono tenere a casa i pargoli un po’ in tutto il Nord Italia, se lo chiedono probabilmente anche gli operatori sanitari sottoposti a uno stress lavorativo tre volte superiore alla norma.

Noi, comuni mortali, non smettiamo di chiederci se c’è davvero da aver paura o no. C’è chi dice che sto #coronavirus è poco più di una influenza, ma sembra strano che per un raffreddore un po’ aggressivo si blindino interi paesi. Ci sono i burioni del caso che – con numeri alla mano – affermano che ci vuole la Qua-ran-te-na (ma non dovevamo stare tranquilli?)

Nel dubbio l’italiano medio fa ciò che non dovrebbe fare: saccheggia il supermercato a livelli da The Last of Us, sparge bufale su internet (“mio cugggino che ha mangiato cinese l’altroieri è diventato Licantropo, fate attenzione al pollo col bambù!”), va al Pronto Soccorso, dove gli è stato detto di non andare, nei casi più gravi si sposta anche quando la legge glielo vieta perché proveniente da zone a rischio.

Che brutto. Abbracciarsi, toccarsi, è diventato pericoloso. Il virus può essere fetentissimo in quanto asintomatico.

Lati positivi: ci laviamo tantissimo le mani e la faccia.

E forse, ma dico forse, qualcuno comincia a capire cosa significa non avere il proprio rassicurante quotidiano. Forse la smetteremo di dare addosso a quelli che scappano da pericoli molto più atroci di questo. Forse aumenterà la nostra capacità di essere grati di quel che abbiamo.

L’economia ne risentirà. Forse, sarà occasione per ripensare qualcosa.

Sembra, per esempio, che in Cina lo stop forzato abbia ridotto le emissioni inquinanti di un sacchissimo, proprio. Il che non mi spinge a tifare per il virus ma appunto mi fa pensare che forse potrebbe essere uno spunto per ripensare qualcosa. O forse sono troppo ottimista: quando si ha a che fare col Soldo, si sa che vince quasi sempre.

In ogni caso stiamo a vedere che succede, starnutendoci nel gomito e disinfettando qua e là per poi ritrovarci in coda in supermercati strapieni di gente. Che fa etciu’. Perché è febbraio e alzi la mano chi non ha un po’ il naso chiuso.

Variazione sul tema

Prima di tutto vennero a citofonare ai tunisini, e    pensai fosse giusto  perché spacciavano. Poi vennero a citofonare alle femministe, e stetti zitto, perché mi stavano antipatiche. Poi vennero a citofonare agli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a citofonare alle sardine, e io non dissi niente, perché non ero una sardina. Un giorno vennero a citofonare a me, e, anche se sapevo che era una violazione della mia libertà personale, non c’era rimasto nessuno a protestare”

I miei 2 cents (sugli argomenti “caldi” del momento) 1

Parte oggi una nuova rubrica. Siccome succedono tantissime cose, scoppiano polemiche ogni 2 per 3 e io non riesco a stare al passo, d’ora in poi mi riservo di fare dei post-mescoloni in cui vi dirò come la penso sugli argomenti di cui si parla, anche se non c’entrano una cippa l’uno con l’altro. Senza sviscerare troppo, che tanto ci hanno già pensato gli altri.

Duuunque, cominciamo:

1. Uscita infelice di Amadeus sulle donne di Sanremo. Mi irrita anche solo parlarne, perché no, Ama, non eri fraintendibile e ci hai fatto capire ancora una volta che nell’Italia del 2020 ciò che conta per una donna è essere piacente e saper stare al “proprio posto” (cioè indietro rispetto ai maschi). Ti dedicherei un sonoro vaffa di risposta, per tutte le donne, ragazze e bambine con tante doti e che sono costrette a farsi un mazzo così per sentirsi trattare da fioriera.

Poi è inutile che inviti Rula Jebreal a parlare di violenza: l’hai appena attuata. Io non sarei una di quelle che boicotta il Festival della Canzone a prescindere, ma credo che in quei giorni guarderò Netflix.

2. Elezioni in Emilia Romagna. Solo il fatto che il candidato di sinistra debba temere di perdere contro una che non sembra sapere nemmeno dove sta di casa, la reputo una sonora sconfitta. Detto ciò, auspico un ritorno a una politica seria, intelligente, con più fatti e meno ladri, attenzione alla cultura, all’istruzione e alla meritocrazia. Ah, e all’inclusione. In pratica sono d’accordo con le Sardine e no, non è vero che sono uguali ai Cinque Stelle.

3.Il Papa che ceffona la gente. Praticamente è una non-notizia, un gradino al di sotto di una bufala. Ha dato uno schiaffetto minuscolo sulla mano della tipa che lo ha strattonato. Una reazione assolutamente umana e condivisibile, vorrei vedere voi.

4. Harry e Meghan che hanno abbandonato la famiglia reale. Ci ho pensato moltissimo e, da figlia di una grandissima fan di Lady D, riesco a pensare solo…ESTICAZZI.

5. L’ultimo Star Wars. Non l’ho ancora visto, ma in compenso ho visto “The Mandalorian” e, come tutti, voglio adottare Baby Yoda e NO il pupazzo non mi soddisfa.

6. L’onnipresente SalviCoso. Preferirei non doverne parlare, ma è ovunque ed è quindi argomento da affrontare. Mi deprime il fatto che molti italiani non ne vedano lo squallore, spero si ravvederanno prima di eleggerlo a fare qualche altra schifezza. Perché no, non è vero che sono tutti uguali. C’è chi fa più schifo degli altri.

7. Gli incendi in Australia. Chi nega la questione del cambiamento climatico perché non sopporta Greta ne è corresponsabile. E comunque finché non si pone al centro dell’agenda politica una sorta di rivoluzione ecosostenibile noi ed i nostri figli saremo condannati sempre più spesso a catastrofi come questa. No, non basta lo sforzo del singolo che ricicla la plastica, benché di certo tutto faccia brodo

8. La scuola che divide i bimbi in sezioni per ricchi e sezioni per poveri. Oltre al senso di vomito, trovo assurdo che ci sia chi giustifica la cosa perché sotto sotto si è sempre fatto. È consuetudine? Ebbene, è sbagliata. Siamo nel 2020, non possiamo più sopportare queste schifezze.

9. La scomparsa di Christopher Tolkien. E che posso dire? Vestu hal. Ferthu, Christopher, Ferthu.

10.Supernatural che si avvia alla fine. Non sono preparata. Prima mi hanno abbandonata gli HIM, ora Sam e Dean. Supererò anche questa, lo so.

And that’s all, folks!

Il buio oltre la siepe, di Harper Lee

Dunque, dal giorno di Natale sono orgogliosa proprietaria di un e-book reader. Sì lo so, l’oggetto-libro è meraviglioso e il profumo della carta vabbe’ e il fruscio delle pagine mammasantissima, però se hai una casa grande quanto quella dei puffi e puoi leggere qualcosa solo ed esclusivamente dalle nove di sera in poi in una stanza buia e dopo aver recitato a memoria “Topo Tip fa la nanna”…credetemi è l’unica soluzione.

Come primo libro ho acquistato “Il buio oltre la siepe”, di Harper Lee, un classico che volevo leggere da moltissimo tempo.

Lo dico agli scostumati tipo me che rimandano sempre ed hanno questo testo tra ciò che leggeranno “prima o poi”: mettetelo in cima alla lista, vi state perdendo un capolavoro.

Siamo a Maycomb, in Alabama, negli anni Trenta. La piccola Jean Luise, detta Scout, e il fratello maggiore Jem sono orfani di madre, ma vivono con il padre Atticus Finch che fa l’avvocato ed è un uomo di grandissima rettitudine e sensibilità. I bambini crescono serenamente in un mondo fatto di giochi, baruffe, piccole lezioni di vita mentre osservano con divertito distacco il mondo adulto rappresentato dal vicinato, finché la tranquillità della cittadina non viene sconvolta dal fatto che Tom Robinson, un bracciante di colore, venga ingiustamente accusato di avere violentato una ragazza bianca. La questione razziale emerge allora prepotentemente nella narrazione: Atticus prende le difese del nero e ne paga lo scotto con la disapprovazione dell’intera comunità che vuole un capro espiatorio. La strada verso il giusto processo si fa dura e loro malgrado anche i bambini restano coinvolti nella vicenda, toccando con mano una dimensione fino ad allora sconosciuta: l’ingiustizia fine a se stessa.

Era tantissimo tempo che non leggevo un romanzo scritto in maniera così limpida. Ricordo praticamente tutto: i nomi, le descrizioni, le sensazioni. Eppure l’ho terminato da oltre una settimana. La scrittura di Harper Lee scorre che è un piacere e, senza mai apparire pedante, resta sotto la pelle del lettore perché nel descrivere una situazione esplicitamente è in grado di veicolare molte informazioni implicite, rendendo questa lettura multilivellare. La caratterizzazione dei personaggi è puntuale ed accattivante, la protagonista è una bimbetta vivace e brillante con il cui punto di vista è davvero piacevole identificarsi.

I temi trattati sono enormi: la giustizia, le distanze sociali, la non-violenza in un mondo che ti spinge nell’opposta direzione, con il Bene incarnato da Atticus Finch, un uomo incredibilmente mite all’apparenza, ma che al momento giusto sa tirare fuori un’arsenale di qualità inaspettate.

Insomma, so che molti/e di voi avranno già letto questo libro da tempo, ma, se così non fosse fate un favore a voi stessi/e e recuperatelo, potrebbe essere un faro capace di rischiarare questi tempi nostro malgrado troppo cupi.

Vilisa

Sia io che Lui lo avevamo in mente da tanto tempo. Era un po’ che mi informavo, perché con tutto quello che si sente in giro è sempre più difficile fidarsi, specie quando c’è di mezzo il denaro.

Comunque è andata così: ieri anche io sono stata afflitta a causa della notizia della morte del ragazzino che si era rifugiato nel vano carrello di un aereo per tentare la fuga e costruirsi una vita migliore. Non so perché questa notizia, tra le tante brutte che arrivano, mi abbia svuotata così profondamente. Forse anche per il corollario di commenti spietati e bestiali che l’hanno accompagnata. Non so, davvero.

Per un istante, sono stata tentata anche io di precipitarmi sul profilo di qualcuno di queste belve e sommergerlo di insulti, ma poi mi sono detta di no. Vogliamo o non vogliamo essere diversi?

Tuttavia lo sgomento non mi abbandonava, perciò ho iniziato a pensare: “Che cosa si può fare?” E pian piano nella mia mente è riemerso il vecchio progetto.

Ne ho riparlato con lui e Lui ne è stato anche più entusiasta di me.

La bambina che da oggi sosteniamo a distanza si chiama Vilisa, ha cinque anni e vive in un villaggio del Kenya.

Per ora è tutto quello che so di lei anche se l’organizzazione che ho scelto, ActionAid, mi ha mandato una fotografia in tempo quasi reale.

Nella fotografia, Vilisa ha capelli cortissimi, una tuta rossa e il visino serio. Grazie al sostegno della nostra famiglia, potrà andare a scuola, avere miglior accesso all’acqua potabile e, cosa non scontata, le verrà dato aiuto in quanto femmina per favorirne un domani l’indipendenza.

A parte la serietà comprovata, mi ha colpito favorevolmente il fatto che il sito di ActionAid spieghi con dovizia di particolari come, anche se si chiama anche “adozione”, il sostegno a distanza è una forma di contributo che non solo aiuta il singolo bimbo o bimba, ma la sua famiglia e la sua comunità. Gli operatori dell’associazione portano avanti dei progetti nei vari paesi del Terzo Mondo, come quello della scolarizzazione e della lotta alla siccità in Africa, del contrasto al traffico di persone sia in Africa che in Asia e persino le lotte per un’equa redistribuzione della terra in America Latina. Tutti questi progetti sono verificabili ed è persino possibile incontrare il bimbo che si sostiene.

Il costo è meno di un caffè al giorno, ovvero 25 euro al mese. Con tutte le spese inutili che faccio, per la prima volta dopo tanto tempo, questo mi è sembrato un modo sensato per utilizzare la tredicesima.

Come ho scritto anche su facebook, solitamente sarebbe opportuno fare cose come queste in stretta riservatezza, ma io corro il rischio di apparire esibizionista perché dopo l’ondata di accuse infamanti rivolte alle ONG dai vari razzisti (ovviamente tutte infondate) anche le realtà di comprovata onestà sono in difficoltà. E allora io lo dico ad alta voce: mi sono fidata. Io e Lui ci siamo fidati e siamo MOLTO CONTENTI. Speriamo di poter avere presto notizie di Vilisa, di poterle davvero facilitare la vita con quello che per noi è un ben misero sacrificio.

Certo, questo non cambia il mondo, ma forse cambia il suo mondo, in meglio. Solo per questo pensiero, vale la pena. Mi piacerebbe tenervi aggiornati sulla mia “figlioccia” e rendervi partecipi delle novità, se ce ne saranno. Ovviamente, anche se non so se la vedrò mai, spero di avere occasione di mandarle qualche lettera o cartolina, perché sappia che, in un angolo di mondo, ci sono persone che vorrebbero sinceramente aiutarla e desiderano il suo bene. Siamo state unite dalla sorte, non ci siamo scelte, il tempo dirà se è stata una scelta fortunata. Io lo spero.

Chiamatemi Anne (Anne with an E) – serie Netflix

Per non farmi mancare nulla in questo inizio 2020, mi sono buscata un virus intestinale un po’ antipatico. Mentre combattevo la maledizione di Montepossinozuma, afflitta da un tremendo mal di testa e da labbra a canotto dovute allo zoster che non vedeva l’ora di farsi un giro, il Papà ha ritenuto che Richard The Coccolyn dovesse cambiare aria e così l’ha portato fuori tutto il pomeriggio.

Erano due anni circa che non rimanevo a casa da sola con le mani in mano e così…ne ho approfittato per fare binge watching della terza stagione della splendida serie “Chiamatemi Anne” che poi non è altro che la riuscitissima trasposizione di “Anna dai capelli rossi”, resa celebre da noi più che dalla serie di libri da cui è tratta, dall’ottimo anime anni 80 che ha vantato la collaborazione del maestro Miyazaki.

Devo ammettere che all’inizio la protagonista mi dava un po’ sui nervi, non certo per l’interpretazione di Amybeth McNulty che trovo perfetta. Semplicemente…mi sembrava un po’ troppo enfatico il modo di parlare del personaggio, caratteristica ovviamente voluta.

Anne è un’orfana non bella e piuttosto sfortunata, ma con un cuore d’oro e una immensa immaginazione. La sua vita cambia radicalmente quando per sbaglio viene assegnata ai fratelli Cuthberth – Matthew e Marilla – che volevano adottare un ragazzo affinché li aiutasse a mandare avanti la fattoria di Green Gables, ad Avonlea, una minuscola cittadina del Canada.

Dopo qualche esitazione, i due decidono di tenerla con loro ed in breve Anne conquista un posto nei loro cuori, grazie alla sua positività e alla brillante intelligenza. La bambina si distingue anche a scuola, sebbene sia afflitta dal dramma di essere bruttina e soprattutto di avere quelle malviste trecce rosse.

L’affetto dei Cuthberth e l’amicizia di Diana riescono a dare ad Anne la stabilità necessaria per fiorire. Non senza difficoltà, la ragazza riesce ad inserirsi nella comunità di Avonlea e il telefilm, così come i libri, ne segue i fantasiosi giochi di bambina, le avventure da adolescente, il delicato percorso per diventare donna, i teneri sentimenti per Gilbert Blythe, coetaneo brillante, costretto a maturare in fretta a causa della morte del padre. Nel telefilm Gilbert ha la faccia pulita dell’attore Lucas Jade Zumann e mi provoca sentimenti contrastanti: è talmente carino che non so se vorrei sposarlo o adottarlo! La terza serie, che ho visto oggi, tratta argomenti non da poco come il razzismo (in particolare verso i neri e verso gli indiani), il femminismo (ebbene sì!), le molestie, la censura…il tutto sullo sfondo dei panorami mozzafiato del Canada, che tra Ottocento e Novecento era ancora Nuova Scozia. Da quel che si legge, questa serie non avrà un seguito ed è, a parer mio, un vero peccato. Si tratta infatti di una produzione ben recitata e ottimamente realizzata, sceneggiata come si deve, con una splendida fotografia e personaggi adorabili. A mio parere è assolutamente sottovalutata. Decisamente da riscoprire!